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ACUSMATICA

Ricercare su 24 punti di fuga

(2012) per sola elettronica su 24 canali [12’44”]

Prima esecuzione assoluta: Suoni Inauditi,  Auditorium “Pietro Mascagni” di Livorno, 24 aprile 2013

Commissione: ISSM “Pietro Mascagni”

1 commissione dell’Istituto Mascagni di Livorno

1 corno

1 melodia di ispirazione ebraica eseguita al corno da Francesco Marotti su 3 diverse ottave

24 casse disposte a gruppi di 8 su 3 livelli

24 risposte all’impulso registrate nello spazio dell’Auditorium dell’Istituto Mascagni dal “punto di ascolto” di ogni singola cassa

5 filtri comb per intonare le risposte all’impulso

192 altezze per fare le convoluzioni fra il corno e le risposte all’impulso filtrate

4 ritardi in cascata controllati da 4 metronomi diversi e 8 tempi di loop

24 tracce mono

1 sistema di spazializzazione virtuale realizzato da Timothy Place e Roberto Doati

Un ricercare fra i 24 punti di fuga del suono

1 sistema di spazializzazione su 24 canali indipendenti

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ACUSMATICA

L’idillio di Edoardo

(2010) musica elettroacustica su testo di Edoardo Firpo con una coda di Edoardo De Giovanni [3’]

Prima esecuzione assoluta: Miso Music Portugal, Auditório Philippe Friedman, Lisbona, 15 aprile 2010

Commissione: Miso Music Portugal

Questo lavoro è una Commissione di Miso Music Portugal per festeggiare i 25 anni del festival. Fa parte di un Cadavre Exquis composto da musiche create per l’occasione da 50 diversi autori.

Le affinità fra Genova e il Portogallo sono numerose, fra queste il suono della lingua. Il mio regalo è perciò la voce di Edoardo De Giovanni (mezzo veneziano e mezzo genovese) che legge una poesia in dialetto genovese di Edoardo Firpo. Ogni verso declamato “soffia” verso ponente a scompigliare nel tempo e a far risuonare con intensità differenti le 25 componenti di frequenza che ottengo filtrando la registrazione di Audivi vocem de caelo. La composizione di Duarte Lobo, per sei voci su un breve testo tratto dalla Liturgia delle Ore (Ufficio dei defunti), è uno degli esempi più alti della polifonia portoghese del XVI secolo.

Edoardo non lo sapeva, ma spontaneamente ha aggiunto alla poesia di Firpo un verso che allude al mondo che tuttora si trova “al di là delle colonne d’Ercole”: gliene sono grato.

Idillio

Quande in te lunghe séje là da stâe
veddo a farfalla gianca ch’a se posa
in sce-o fiore da-o gambo lungo e fin,
e l’aa ch’a ghe fa veja un pô a s’imbosa
comme a barchetta sott’a-o ponentin,
e se barcollan poi tutti doï
mentre da l’erba vegne un son sottï,
a muxica che sento a l’è tanto ata
che no çerco ciù ninte intorno a mi.

                                             Edoardo Firpo

Quando nelle lunghe sere d’estate
vedo la farfalla bianca che si posa
sul fiore dal gambo lungo e fino,
e l’ala che le fa da vela si gonfia un poco
come una barchetta sotto il ponentino,
e barcollano poi tutti e due
mentre dall’erba viene un suono sottile,
la musica che sento è così alta
che non cerco più niente intorno a me.

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ACUSMATICA

Veneziana

Veneziana n. 1 per Luigi Nono (2007) musica elettroacustica [8’40”]

Prima esecuzione assoluta: EMUFest, Sala Accademica del Conservatorio “S. Cecilia”, Roma, 14 novembre 2010

Veneziana n. 2 per Mario Messinis (2007) musica elettroacustica [17’10”]

Prima esecuzione assoluta: Sala Tartini del Conservatorio “Giuseppe Tartini”, Trieste, 24 novembre 2010

Veneziana n. 3 per Alvise Vidolin (2007) musica elettroacustica per nastro a 6 tracce [8’40”]

Prima esecuzione assoluta: Conservatorio di musica “F.A.Bonporti”, Riva del Garda, 3 maggio 2008

La serie “Veneziana” nasce inconsciamente come congedo simbolico da Venezia e da alcune persone che hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione veneziana.

Marzo 2007: sto preparando i “cori” per una revisione dell’opera di teatro musicale Un avatar del diavolo su testo di Artaud commissionata dalla Biennale di Venezia nel 2005. L’idea è di aggiungere ad alcune scene armonie tonali prodotte da una voce femminile che evochino la borghesia che giudica e condanna Artaud. Cori che vengono periodicamente fatti rifrangere in impasti atonali dall’irruenza della voce maschile in scena. Quale autore più “normativo” di Jean-Philippe Rameau poteva ispirarmi? Autore che compare già nell’opera come riferimento all’amore di Artaud per le danze francesi del XVIII secolo.

Il materiale di partenza è l’esecuzione vocale, da me richiesta a Marianne Pousseur estremamente lenta, della melodia di Vénitienne, un pezzo per clavicembalo di Rameau. La “veneziana” era, nel XVI secolo, una composizione di carattere satirico e burlesco, praticata anche da Andrea Gabrieli. Mentre preparo i “cori” usando tecniche adottate da Nono nella sua ultima produzione (ritardi multipli, filtri risonanti e riverberi) e convoluzioni fra voce e risonanze di una percussione metallica, la nostalgia che il risultato evoca mi fa pensare che sto dicendo addio a Venezia da cui, dopo quasi 30 anni, mi allontano tornando alla natia Genova. Seleziono quindi tre strutture orientabili a piacere in modo da variare il flusso armonico, meglio direi luminoso.

Un  profondo senso di riconoscenza per Luigi Nono accompagna la Veneziana n. 1, per Mario Messinis la Veneziana n. 2, per Alvise Vidolin la Veneziana n. 3.

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ACUSMATICA

In assenza del doppio

(2005-2007) musica elettroacustica (voce: Giorgio Bertan) per nastro a 4 tracce da Un avatar del diavolo [24’15”]

Questo lavoro non è una semplice riduzione dell’opera di teatro musicale Un avatar del diavolo da me realizzata nel 2005 per La Biennale di Venezia. L’opera era basata sull’ultimo testo di Antonin Artaud “Pour en finir avec le jugement de dieu” e il termine “avatar” stava anche a indicare l’idea di doppio, tanto cara all’autore francese: l’odierno “avatar” informatico, sorta di alter ego elettronico,  Dio alter ego di Lucifero, gli escrementi alter ego dello spirito, il linguaggio elettronico alter ego di Lucifero. La composizione musicale utilizzava la tecnologia informatica per trasformare in tempo reale suoni e parole dei due personaggi in scena (Giorgio Bertan e Marta Paola Richeldi), in bilico continuo fra logocentrismo e melocentrismo: la parola e il suo doppio musicale.

Qual è dunque il “doppio” assente in questa sorta di suite? La voce come parola. Rimangono le sue risonanze in corpi estranei (animali, percussioni, suoni di ottoni, sospiri e grida), la musica che, attraverso tecniche di vocoding e convoluzione, scaturiva dall’eccitazione vocale prodotta sul palcoscenico dalla fisicità degli attori.

La forma, seppur dimezzata nelle sue dimensioni, rimane quella dell’opera teatrale. Fedele all’impianto originale del testo di Artaud, è costituita da 5 scene inframmezzate da 4 brevi xilofonie (come le chiamava Artaud) a carattere prevalentemente percussivo, più una coda da me aggiunta.

La scelta del testo potrebbe sembrare presuntuosa data la grande notorietà che gode nel mondo del teatro, ma la vera ragione risiede nel fatto che era mio desiderio riportarlo nel suo contesto originale. Il testo fu infatti creato da Artaud per la radiodiffusione, peraltro mai avvenuta perché incappata nella censura  (così come Visage di Luciano Berio che viene infatti citato nella quinta scena per gentile concessione di Universal Edition e Talia Pecker Berio), quindi utilizzando un mezzo che fin dagli inizi dell’esperienza elettroacustica è stato considerato privilegiato per la diffusione del nuovo pensiero musicale. Anzi, possiamo proprio considerare la nascita della musica concreta (Parigi, 1948) come liminare al lavoro di Artaud.

Il 4 settembre 1948, esattamente 6 mesi dopo la morte di Artaud, Wladimir Porché, direttore generale della Radiodiffusione Francese (RDF) nonché colui che pose il divieto di messa in onda di Pour en finir, inaugura il CER, centro di studi radiofonici per le trasmissioni sperimentali.

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ACUSMATICA

n’yn, spyrty I, d’yn

(2002) tre pezzi elettroacustici dal ciclo “Sopra i monti degli aromi”  [6’32”]

Il ciclo “Sopra i monti degli aromi” è un percorso attraverso il Cantico dei Cantici tracciato da canti gregoriani, polifonie medievali e composizioni originali con elaborazioni elettroacustiche realizzato con l’Ensemble Oktoechos diretto da Lanfranco Menga, su progetto di Emanuele Pappalardo, Paolo Pachini, Lanfranco Menga e Roberto Doati.

Le linee guida per la composizione di queste cinque opere sono state indicate dai concetti di unione e di dualità: ille e illa del testo del Cantico, l’erotismo carnale e l’amore spirituale, l’umano e il sacro. La scrittura vocale si basa su poche altezze con molte ripetizioni, a indicare l’appartenenza alla terra, ma questa sorta di hochetus viene spezzato da note acutissime che indicano un’aspirazione, non sempre raggiunta, al cielo, alla spiritualità, oppure da brevi frasi parlate, articolazioni vocali corporali. Quest’ultime si integrano con le registrazioni fatte in momenti di vita quotidiana dei due cantanti (Alessandra Vavasori e Antonio Bortolami), così che ognuno degli interpreti si manifesti attraverso la spiritualità (il canto) e la corporeità (il parlato). La parte elettronica realizza idealmente il concetto di unione avvalendosi della tecnica di convoluzione sottolineando la fisicità della voce, registrata molto da vicino, e la sua evanescenza negli spazi riverberanti di una chiesa: le relazioni di frequenza fra le parziali di una voce (o un coro) maschile sono modellate dall’inviluppo spettrale di un coro (o una voce) femminile. Tutti i materiali vocali utilizzati provengono da interpretazioni dell’Ensemble Oktoechos di opere del passato su testi del Cantico. Dai cinque pezzi composti (d’yn, n’yn, b’yt, spyrty I e spyrty II, d’yl) ho estratto i seguenti tre acusmatici: d’yn e n’yn sono convoluzioni fra esecuzioni maschili e femminili delle antifone “Jam hiems” e “Veni electa mea”; spyrty I basato su “Tota pulchra es, anima mea” di Heinrich Isaac, alterna lunghe risonanze a vivaci sequenze di grani vocali.

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ACUSMATICA

L’apparizione di tre rughe

(2001) versione elettroacustica  [11’34”] [CD Stradivarius STR 33634]

Prima esecuzione assoluta: Festival “Il Giardino della Musica”, Palazzina Liberty, Milano, 13 giugno 2001

Realizzata con una borsa della Rockefeller Foundation

Dall’amicizia e dall’ammirazione per il virtuosismo della chitarrista Elena Casoli nascono i 5 frammenti che compongono l’opera: sono stati scritti per svolgere ciascuno funzione di interludio, quasi in senso teatrale, durante i suoi concerti. L’intenzione era quella di creare qualcosa che fosse allo stesso tempo una continua allusione a strumenti e stili chitarristici diversi per epoca e linguaggio, ma sufficientemente astratto per adattarsi a qualsiasi pezzo di altro autore suonato dal vivo senza influenzarne l’ascolto.

Sull’idea di incrocio, di accoppiamento fra strumenti e stili, ho registrato musiche tratte dai repertori ottocentesco, flamenco, blues, sudamericano, rock, jazz, barocco, suonate da Elena Casoli sia sugli strumenti per cui erano state scritte, sia su strumenti e con modalità completamente estranianti. Così, per esempio, l’interpretazione di Eric Clapton per Crossroads è stata suonata su un arciliuto, mentre un Minuetto di Paganini sulla chitarra elettrica con distorsore, oppure una siguiriya eseguita a “tambora” su una chitarra americana a corde di metallo e uno studio di Sor con il wah-wah.

Sull’idea di incrocio fra segnale di eccitazione e caratteristiche di risonanza dei diversi strumenti ho poi lavorato nella prima fase di trasformazione dei suoni. Così l’eccitazione di una chitarra elettrica che suona Nuages di Django Reinhardt viene fatta “accoppiare” con la cassa armonica di un arciliuto che risuona di un Choro di Barrios. Attraverso varie tecniche di filtraggio e di analisi-sintesi ho infine conferito diversi gradi di astrazione per cambiare i segni caratteristici, e quindi riconoscitivi,  dei materiali di partenza.            

Dal punto di vista formale la successione dei cinque frammenti vede crescere sia la durata (30”, 1’, 2’, 3’, 5’) che il numero di voci, corrispondenti ad altrettanti stili/strumenti (7, 6, 9, 18, 28) e organizzate secondo il seguente disegno:

L’opera è stata realizzata durante una residenza offerta dalla Fondazione Rockefeller e con le apparecchiature dello studio di musica elettronica della sua sede in Bellagio, in particolare con i programmi Marcohack, Soundhack e Csound.

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ACUSMATICA

bastone armonico

(1999) versione elettroacustica [11’55”]

Prima esecuzione assoluta: Auditorium Università di Cordoba (AR), 29 aprile 2006

Realizzata con una borsa della Bogliasco Foundation presso il Centro Ligure per le Arti e le Lettere

L’idea del lavoro (nella sua versione originale per violino, bastoni da pioggia, elettronica e sistema interattivo ad libitum), nasce dall’ammirazione di certa pittura monocromatica statunitense: strati successivi di pittura (diversi i materiali, le tecniche) danno origine a una superficie che fa scomparire la materia e può venire percepita come scultura, oppure come composta di tonalità cangianti in funzione dell’incidenza della luce sul colore.

Mi colpiscono le piccole deflagrazioni percettive determinate da una forte astrazione.

Come spesso avviene per la realizzazione delle mie opere, anche per bastone armonico ho scelto materiali sonori che racchiudessero sia elementi concreti, “terrestri”, che elementi astratti, “celesti”. Ho cercato di realizzare un’idea di superficie monocromatica trattando i suoni impulsivi di un palo de lluvia (bastone da pioggia), strumento tipico della cultura india di tutto il Sud America. Questa monocromia granulare costituisce la versione elettroacustica che qui si presenta. Un’unica traccia resta del violino suonato da Marco Rogliano: da 4’38” e per circa per un minuto si può ascoltare, anche se molto trasformato, isolato dagli altri suoni.

Grazie a Xavier Serra per il suo SMS e a Davide Rocchesso per il suo BaBo, programmi che, insieme a Csound, ho utilizzato per le trasformazioni del bastone da pioggia. Formalmente l’opera segue 12 di 63 disegni generati dal computer di cui mi ha fatto dono l’amico Gianni Revello; una parte di essi è stata elaborata dal programma GraphSco di Riccardo Bianchini per l’estrazione di parametri musicali.

Sono infine debitore nei confronti di Franco Avicolli, poeta di terre astratte a cui debbo la scoperta dei diluvianti suoni e durevoli amicizie in terra argentina. A lui desidero dedicare bastone armonico. L’opera è stata realizzata durante una residenza offertami dalla Fondazione Bogliasco (Centro Ligure per le Arti e le Lettere).

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ACUSMATICA

A Moholy, l’ultimo giorno del tram a tariffa ridotta

(1998) musica elettroacustica per un film muto di Laszlo Moholy-Nagy [5’19”]

Prima esecuzione assoluta: Accademia Musicale Pescarese, Pescara, 1998

«La realtà del nostro secolo è la tecnologia… le macchine hanno preso il posto dello spiritualismo trascendentale del passato. Tutti sono uguali di fronte alla macchina… In tecnologia non esiste tradizione né coscienza di classe: tutti possono essere padroni, ma anche schiavi.»

Moholy-Nagy, 1922

Metà scultura, metà macchina, il “Lichtrequisit” (la scultura che viene ripresa nel film) è fatto di metallo cromato, vetro, filo e barre metalliche. Moholy-Nagy si sforzò sempre di interpretare lo spazio nel suo rapporto con il tempo. Così i movimenti cui sottopone la scultura, in prevalenza lenti e rotatori, siano essi reali o virtuali, sono sempre realizzati con la coscienza che lo schermo cinematografico è piatto, bidimensionale come una pittura, una fotografia. Per creare movimenti virtuali spesso usa tecniche di “elaborazione” dell’immagine: immagini in negativo, sovrapposizione di più riprese, illuminazioni dalle forme diverse, talvolta abbaglianti, che proiettano le ombre di parti della scultura su un fondo bianco.

L’idea della musica che ho realizzato era di dare suono alla scultura. Ecco quindi perché:

  • i materiali sonori di partenza sono stati determinati dai materiali di cui è costituita la scultura: metallo (una lastra di ferro strisciata o percossa, un suono sintetico tagliente come una sega d’acciaio, un cestello di lavatrice), vetro (cocci strisciati);
  • il tipo di trattamento deriva dalla tecnica luministica di Moholy-Nagy: filtraggio usando spesso parametri ricavati dagli spettri di fotogrammi del film;
  • la forma dell’opera rispecchia l’avvicendarsi dei diversi eventi del film;
  • ho cercato di rendere le tre dimensioni dello spazio acustico bidimensionali, di dare cioé la sensazione di movimento rotatorio più con il materiale sonoro che con il movimento vero e proprio, talvolta aiutandomi con la distribuzione spaziale, ma sempre con la sola stereofonia.

La totalità della sua sperimentazione aveva portato nel 1931 Moholy-Nagy a progettare di sincronizzare i movimenti del “Lichtrequisit” con uno spartito musicale. Secondo quali principi lo possiamo immaginare ricordando cosa disse a un amico tracciandone i contorni del volto su un blocco di appunti: «Posso suonare il tuo profilo. Sono curioso di sapere come suonerà il tuo naso.» Uno dei suoi esperimenti filmici fu infatti l’incisione su colonna sonora di lettere dell’alfabeto. Per questa ragione le parole schwarz, weiss, grau che compaiono all’inizio del film, come in una sorta di manifesto programmatico, sono accompagnate da rumore bianco filtrato con frequenze centrali e larghezze di banda che seguono i contorni delle lettere che le compongono.

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ACUSMATICA

COMBINA C1917

Omaggio a Pietro Grossi (1997) musica elettroacustica [5’]

Prima esecuzione assoluta: Festa per gli 80 anni di Pietro Grossi, Sala Vanni, Firenze, 11 dicembre 1997

Commissione: Fondazione Ezio Franceschini, Firenze

1917: Pietro Grossi nasce a Venezia.

1972: la RAI manda in onda “C’è musica e musica”, una serie di trasmissioni curate da Luciano Berio. In una di queste compare Pietro Grossi intervistato alla Biennale di Venezia sulle sue esperienze di “musica al calcolatore”.

1977: inizio a seguire il corso di Pietro Grossi presso l’Istituto di Elaborazione dell’Informazione del CNUCE-CNR di Pisa. L’insegnamento più prezioso che ricevo da Pietro Grossi riguarda il fatto che la formalizzazione di un processo compositivo estende e non limita, come si pensa, le possibilità creative di un autore. Non posso dimenticare la forte emozione che provo il giorno in cui scrivo e vedo funzionare il mio primo e primitivo programma in FORTRAN per invertire la lettura di un vettore di frequenze.

1997: ricostruisco alcuni dei comandi che facevano parte del software TAUMUS per trasformare quei 100” di trasmissione televisiva. Le voci di Pietro Grossi e Virgilio Boccardi, l’intervistatore, i semplici timbri del TAU2, sono stati sottoposti a una granulazione realizzata servendomi di un programma per generare combinazioni semplici (19 elementi, 17 sottoelementi). I 3 materiali originali vengono elaborati ciascuno 4 volte con parametri diversi (durata dei grani, istante di inizio della lettura dei file, …) in modo da ottenere 12 voci. Seguendo la successione temporale degli interventi del filmato (dilatata 3 volte) costruisco la forma dell’opera. Gli eventi che la compongono sono letture e filtraggi con parametri aleatori (7 classi timbriche differenti) delle 12 granulazioni. La voce del curatore, che nel filmato per 3 volte si sovrappone ai suoni del TAU2, viene utilizzata per modulare l’ampiezza e come segnale di controllo per il filtraggio della “voce” del vecchio terminale audio.

Grazie a Davide Rocchesso per l’algoritmo combinatorio e per BaBo.

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ACUSMATICA

IV Felix Regula

(1997) per nastro a 8 tracce [CD Cybele – DEGEM 7] [13’33”]

Prima esecuzione assoluta: Università di Liegi, luglio 1997

Regia del suono: Roberto Doati

Commissione: Centre de Recherches et de Formation Musicales de Wallonie di Liegi

Felix Regula è un lavoro commissionato e realizzato presso il Centre de Recherches et Formation Musicales de Wallonie in Liegi. Quando ho ricevuto l’invito a realizzare un nuovo lavoro per strumenti ed elettronica, è stato naturale per me che vivo a Padova pensare a Johannes Ciconia (1340-1411); non solo perché il grande compositore e teorico proveniente da Liegi visse i suoi ultimi anni proprio a Padova, ma anche per il profondo legame fra musica e scienza che caratterizzò il suo lavoro e la sua vita. Il pensiero musicale che ho sviluppato nel corso di molti anni di utilizzo dell’informatica è fortemente improntato dalla nuova tecnologia. Per tecnologia intendo qui riferirmi non tanto allo strumento “macchina”, quanto a un insieme di nuovi concetti e procedimenti scientifici per investigare e trasformare la natura.

La “natura” che viene trasformata in Felix Regula è un virelai di Ciconia (Sus une fontayne) che rappresenta per me un archetipo dell’interesse che molti compositori, del passato come del presente, hanno per i giochi di specchi. Nelle cinque differenti versioni che ho realizzato (I: clarinetto e nastro, II:flauto e nastro, III: violino e nastro, IV: nastro solo, V: violino, flauto, clarinetto, nastro e live electronics), ho spezzato e ricostruito la forma del virelai di Ciconia con riflessioni non solo fra gli strumenti, ma anche con il mio specchio preferito: la tecnologia informatica.

Le trasformazioni elettroniche dei suoni strumentali sono quindi concepite come una sorta di doppio di ciascuno strumento, ma distribuite temporalmente in modo differente per ogni versione secondo un esprit de géométrie peculiare del lavoro di Ciconia. Anche gli strumenti producono una sorta di trattamento acustico. Le altezze del virelai vengono infatti emesse con modalità e articolazioni tipiche della musica contemporanea (slap, multifonici, tongue ram, ecc.).

IV Felix Regula è la versione a 8 piste che contiene: pista 1 (registrazione violino), pista 2 (registrazione flauto), pista 3 (registrazione clarinetto), piste 4-5 (trattamento elettronico violino), piste 6-7 (trattamento elettronico flauto), pista 8 (trattamento elettronico clarinetto). L’esecuzione del pezzo è completamente libera per quanto riguarda la dinamica delle differenti piste.

La relazione temporale fra strumenti e loro trattamento elettronico può essere rappresentata come segue: