Fermentazioni è costituito da alcuni dei materiali da me raccolti durante la realizzazione del video musicale Il suono rosso (video di Ivan Penov), una “messa in scena audiovisiva” sul vino commissionata da La Stoppa di Elena Pantaleoni.
Fra il 2018 e il 2019 ho effettuato decine di ore di registrazioni ad Ancarano di Rivergaro (PC), distribuite nel tempo secondo i ritmi e le fasi di staticità ed estrema dinamicità tipiche della produzione del vino. Per Fermentazioni ho scelto le registrazioni che danno conto della caoticità di uno dei processi dinamici che avvengono nelle vasche di acciaio in cui viene messa l’uva pigiata: la fermentazione.
Senza snaturare la materia si rendono così udibili fenomeni solitamente nascosti al nostro orecchio e dotati di una forte ambiguità per la somiglianza con una tecnica elettroacustica molto diffusa oggi in musica come la granulazione.
Per le riprese ho usato un microfono piezoelettrico auto costruito e un microfono dinamico AKG 411L, entrambi applicati sulla superficie esterna delle vasche in cui fermentano due diversi vini prodotti da La Stoppa: Ageno (in due vasche diverse, a pochi giorni dalla pigiatura) e Malvasia (a un mese dalla pigiatura).
Fermentazioni è costruito mettendo in sequenza, con dissolvenza di 1’, tre frammenti di 4’ ciascuno (Malvasia-Ageno01-Ageno02) utilizzando solo un filtro passa-alto del II ordine a 100 Hz per la Malvasia, a 300 Hz per l’Ageno.
A Mario Messinis, in memoriam (2020) musica elettroacustica [14’05”]
Ousia nasce da una rielaborazione di materiali usati per il video musicale Il suono rosso commissionato da La Stoppa (un’azienda di Ancarano che produce vino naturale). Molti di questi materiali sonori mi hanno ricordato le opera elettroacustiche del periodo GRM di Xenakis, in particolare Bohor. Così potatura, fermentazione, trattori, vendemmia, travasi, voci dei lavoranti, distillazione e imbottigliamento sono stati usati prevalentemente ‘al naturale’ per la loro alta qualità timbrica e morfologica. Solo in alcuni casi li ho sottoposti a trasformazioni usando filtri, variazioni di velocità, modelli fisici, granulazione polifonica.
Per la loro organizzazione macro-formale dei 16 materiali così ottenuti, ho utilizzato lo stesso metodo stocastico di Xenakis per Achorripsis. Grazie alla distribuzione di Poisson (lambda = 1.667) ottengo la distribuzione generale degli eventi (gradi di densità variabile da I a VI) su una matrice di 16 righe (una per ciascun material) e 28 colonne (unità di tempo = 30”). Essendo il risultato troppo denso per poter percepire le molte piccole, ma musicalmente rilevanti, variazioni timbriche, ho infine deciso di prendere solo 4 diversi materiali per ognuna della quattro parti in cui è divisa l’opera.
Enfoncer une porte ouverte rappresenta l’inizio (Parte prima, capitoli 1-4) di un più lungo lavoro su Madame Bovary commissionatomi da Bruna Donatelli, per “Flaubert en musique”, numero 21 della Flaubert Revue critique et génétique da lei curato.
Sappiamo che per Flaubert testo e suono (scrittura e lettura) non erano due entità separate. Infatti era uso leggere ad alta voce i suoni manoscritti (Στέντορι εἰσαμένη μεγαλήτορι χαλκεοφώνῳ, ὃς τόσον αὐδήσασχ᾽ ὅσον ἄλλοι πεντήκοντα[1]). Grazie a questa pratica, che chiamava gueuloir[2], era in grado di valutare la qualità delle proprie frasi in base alla loro sonorità: “Plus une idée est belle, plus la phrase est sonore; soyez-en sûre. La precisión de la pensée fait (et est elle-même) celle du mot”[3]. Ho quindi chiesto alla mia lettrice (Marie Gaboriaud) di leggere non la versione pubblicata di Madame Bovary, ma il manoscritto più o meno finale, con le sue cancellazioni e ripensamenti. Il testo è da me animato con oggetti sonori la cui sorgente non è necessariamente riconoscibile, spesso usando tecniche di convoluzione, ma è sempre derivante da suoni menzionati o evocati nel libro. L’idea è di dare vita a quello che definisco un ‘paesaggio immaginario’ dove i suoni assumono il carattere di protagonisti di una messa in scena.
Sono profondamente debitore a Bruna Donatelli per avermi guidato con sapienza e originalità nel mondo di Flaubert. Spero possa trovare in questo mio lavoro molte sue ‘perle’ legate fra loro in una, seppur non finita, collana musicale.
[1] “in figura di Stèntore, cuore grande, voce di bronzo, che tanto forte gridava quanto cinquanta degli altri”, Omero, Iliade, V, 785, versione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 1950.
[2] Michael Fried, Flaubert’s ‘Gueuloir.’ On ‘Madame Bovary’ and ‘Salammbô’, Yale University Press, 2012.
[3] Lettera a Mlle. Leroyer de Chantepie, 12 dicembre 1857.
Prima esecuzione assoluta: Fifth International Csound Conference, Teatro Municipale di Cagli, 28 settembre 2019
Questa composizione ha origine da alcuni materiali usati per un più ampio lavoro, Il suono bianco, un progetto audiovisivo commissionato dal Caseificio Di Nucci 1662 (Agnone) che produce principalmente caciocavallo. Per un’intera settimana, dalle 7 alle 14, ho registrato i suoni del laboratorio e della cantina: il versamento del latte, tutti i diversi processi di trasformazione, principalmente manuali, le voci dei lavoranti, il processo di conservazione e controllo della stagionatura, la degustazione. La prima parte è dedicata ai suoni liquidi del processo (l’acqua è un elemento determinante nella lavorazione della pasta filata), mentre la seconda vuole suggerire l’aspetto aptico del formaggio: lo strofinamento della superficie, diversa per ogni fase della stagionatura, la battitura delle forme per controllare che non ci siano bolle d’aria al suo interno, e infine l’assaggio (registrato con un microfono collocato in bocca). Le tecniche di trasformazione dei suoni prevalentemente usate sono granulazione e convoluzione.
Cacio No5 esiste in due versioni: stereofonica e ottofonica. La versione a 8 canali è un omaggio a Iannis Xenakis ed è stata ottenuta dalla divisione in 24 bande di frequenza (da 20 Hz a 24 KHz) di un mix mono della versione stereofonica. Le 24 tracce sono poi state distribuite a gruppi di 3 (ogni volta prendendo registro grave, medio e acuto) su 8 tracce. La spazializzazione è realizzata in automatico e prevede 11 rotazioni del cubo utilizzato da Xenakis per la sua composizione Nomos Alpha (si veda Formalized Music, Pendragon Revised Edition, 1990, p. 219-236). Gli 8 angoli del cubo diventano quindi le 8 casse dell’impianto di diffusione, e ciascuna delle 8 tracce si muoverà secondo le rotazioni indicate da Xenakis. Ogni volta che una traccia raggiunge una cassa diversa da quella di partenza, si va ad aggiungere allo spettro della traccia presente sulla cassa, trascinandolo nel movimento successivo fino a includere, alla fine della rotazione, l’intero spettro su un’unica cassa. Per esempio, nella prima rotazione (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8) all’inizio si sentiranno 3 bande di frequenza (b1) sulla cassa 1 (L1), 3 bande di frequenza (b2) sulla cassa 2 (L2), ecc. Non appena b1 si muove verso L2, si aggiungerà a b2, che trascinerà con sé alla cassa L3, da cui preleverà anche b3 per portarlo a L4, e così via. Alla fine della rotazione, sulla cassa L8 sarà presente l’intero spettro (20 Hz-24 KHz). Per l’automazione sono state usate 11 diverse velocità di rotazione generate con distribuzione gaussiana in un ambito compreso fra 0.684 m/s e 8 m/s.
Note tecniche La posizione delle casse deve preferibilmente formare un cubo come disegnato da Xenakis:
La serie 1 2 3 4 5 6 7 8 rappresenta sia il numero di traccia che la cassa. Il lato del cubo dovrebbe essere di 8 m. L6 L3 L5 L4 sono le casse a livello del pubblico, L1 L8 L2 L7 quelle sopra il pubblico.
In alternativa è possibile un set-up a un solo livello seguendo questa configurazione:
(2010) musica elettroacustica su testo di Edoardo Firpo con una coda di Edoardo De Giovanni [3’]
Prima esecuzione assoluta: Miso Music Portugal, Auditório Philippe Friedman, Lisbona, 15 aprile 2010
Commissione: Miso Music Portugal
Questo lavoro è una Commissione di Miso Music Portugal per festeggiare i 25 anni del festival. Fa parte di un Cadavre Exquis composto da musiche create per l’occasione da 50 diversi autori.
Le affinità fra Genova e il Portogallo sono numerose, fra queste il suono della lingua. Il mio regalo è perciò la voce di Edoardo De Giovanni (mezzo veneziano e mezzo genovese) che legge una poesia in dialetto genovese di Edoardo Firpo. Ogni verso declamato “soffia” verso ponente a scompigliare nel tempo e a far risuonare con intensità differenti le 25 componenti di frequenza che ottengo filtrando la registrazione di Audivi vocem de caelo. La composizione di Duarte Lobo, per sei voci su un breve testo tratto dalla Liturgia delle Ore (Ufficio dei defunti), è uno degli esempi più alti della polifonia portoghese del XVI secolo.
Edoardo non lo sapeva, ma spontaneamente ha aggiunto alla poesia di Firpo un verso che allude al mondo che tuttora si trova “al di là delle colonne d’Ercole”: gliene sono grato.
Idillio
Quande in te lunghe séje là da stâe veddo a farfalla gianca ch’a se posa in sce-o fiore da-o gambo lungo e fin, e l’aa ch’a ghe fa veja un pô a s’imbosa comme a barchetta sott’a-o ponentin, e se barcollan poi tutti doï mentre da l’erba vegne un son sottï, a muxica che sento a l’è tanto ata che no çerco ciù ninte intorno a mi.
Edoardo Firpo
Quando nelle lunghe sere d’estate vedo la farfalla bianca che si posa sul fiore dal gambo lungo e fino, e l’ala che le fa da vela si gonfia un poco come una barchetta sotto il ponentino, e barcollano poi tutti e due mentre dall’erba viene un suono sottile, la musica che sento è così alta che non cerco più niente intorno a me.
Veneziana n. 1 per Luigi Nono (2007) musica elettroacustica [8’40”]
Prima esecuzione assoluta: EMUFest, Sala Accademica del Conservatorio “S. Cecilia”, Roma, 14 novembre 2010
Veneziana n. 2 per Mario Messinis (2007) musica elettroacustica [17’10”]
Prima esecuzione assoluta: Sala Tartini del Conservatorio “Giuseppe Tartini”, Trieste, 24 novembre 2010
Veneziana n. 3 per Alvise Vidolin (2007) musica elettroacustica per nastro a 6 tracce [8’40”]
Prima esecuzione assoluta: Conservatorio di musica “F.A.Bonporti”, Riva del Garda, 3 maggio 2008
La serie “Veneziana” nasce inconsciamente come congedo simbolico da Venezia e da alcune persone che hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione veneziana.
Marzo 2007: sto preparando i “cori” per una revisione dell’opera di teatro musicale Un avatar del diavolo su testo di Artaud commissionata dalla Biennale di Venezia nel 2005. L’idea è di aggiungere ad alcune scene armonie tonali prodotte da una voce femminile che evochino la borghesia che giudica e condanna Artaud. Cori che vengono periodicamente fatti rifrangere in impasti atonali dall’irruenza della voce maschile in scena. Quale autore più “normativo” di Jean-Philippe Rameau poteva ispirarmi? Autore che compare già nell’opera come riferimento all’amore di Artaud per le danze francesi del XVIII secolo.
Il materiale di partenza è l’esecuzione vocale, da me richiesta a Marianne Pousseur estremamente lenta, della melodia di Vénitienne, un pezzo per clavicembalo di Rameau. La “veneziana” era, nel XVI secolo, una composizione di carattere satirico e burlesco, praticata anche da Andrea Gabrieli. Mentre preparo i “cori” usando tecniche adottate da Nono nella sua ultima produzione (ritardi multipli, filtri risonanti e riverberi) e convoluzioni fra voce e risonanze di una percussione metallica, la nostalgia che il risultato evoca mi fa pensare che sto dicendo addio a Venezia da cui, dopo quasi 30 anni, mi allontano tornando alla natia Genova. Seleziono quindi tre strutture orientabili a piacere in modo da variare il flusso armonico, meglio direi luminoso.
Un profondo senso di riconoscenza per Luigi Nono accompagna la Veneziana n. 1, per Mario Messinis la Veneziana n. 2, per Alvise Vidolin la Veneziana n. 3.
(2005-2007) musica elettroacustica (voce: Giorgio Bertan) per nastro a 4 tracce da Un avatar del diavolo [24’15”]
Questo lavoro non è una semplice riduzione dell’opera di teatro musicale Un avatar del diavolo da me realizzata nel 2005 per La Biennale di Venezia. L’opera era basata sull’ultimo testo di Antonin Artaud “Pour en finir avec le jugement de dieu” e il termine “avatar” stava anche a indicare l’idea di doppio, tanto cara all’autore francese: l’odierno “avatar” informatico, sorta di alter ego elettronico, Dio alter ego di Lucifero, gli escrementi alter ego dello spirito, il linguaggio elettronico alter ego di Lucifero. La composizione musicale utilizzava la tecnologia informatica per trasformare in tempo reale suoni e parole dei due personaggi in scena (Giorgio Bertan e Marta Paola Richeldi), in bilico continuo fra logocentrismo e melocentrismo: la parola e il suo doppio musicale.
Qual è dunque il “doppio” assente in questa sorta di suite? La voce come parola. Rimangono le sue risonanze in corpi estranei (animali, percussioni, suoni di ottoni, sospiri e grida), la musica che, attraverso tecniche di vocoding e convoluzione, scaturiva dall’eccitazione vocale prodotta sul palcoscenico dalla fisicità degli attori.
La forma, seppur dimezzata nelle sue dimensioni, rimane quella dell’opera teatrale. Fedele all’impianto originale del testo di Artaud, è costituita da 5 scene inframmezzate da 4 brevi xilofonie (come le chiamava Artaud) a carattere prevalentemente percussivo, più una coda da me aggiunta.
La scelta del testo potrebbe sembrare presuntuosa data la grande notorietà che gode nel mondo del teatro, ma la vera ragione risiede nel fatto che era mio desiderio riportarlo nel suo contesto originale. Il testo fu infatti creato da Artaud per la radiodiffusione, peraltro mai avvenuta perché incappata nella censura (così come Visage di Luciano Berio che viene infatti citato nella quinta scena per gentile concessione di Universal Edition e Talia Pecker Berio), quindi utilizzando un mezzo che fin dagli inizi dell’esperienza elettroacustica è stato considerato privilegiato per la diffusione del nuovo pensiero musicale. Anzi, possiamo proprio considerare la nascita della musica concreta (Parigi, 1948) come liminare al lavoro di Artaud.
Il 4 settembre 1948, esattamente 6 mesi dopo la morte di Artaud, Wladimir Porché, direttore generale della Radiodiffusione Francese (RDF) nonché colui che pose il divieto di messa in onda di Pour en finir, inaugura il CER, centro di studi radiofonici per le trasmissioni sperimentali.
(2002) tre pezzi elettroacustici dal ciclo “Sopra i monti degli aromi” [6’32”]
Il ciclo “Sopra i monti degli aromi” è un percorso attraverso il Cantico dei Cantici tracciato da canti gregoriani, polifonie medievali e composizioni originali con elaborazioni elettroacustiche realizzato con l’Ensemble Oktoechos diretto da Lanfranco Menga, su progetto di Emanuele Pappalardo, Paolo Pachini, Lanfranco Menga e Roberto Doati.
Le linee guida per la composizione di queste cinque opere sono state indicate dai concetti di unione e di dualità: ille e illa del testo del Cantico, l’erotismo carnale e l’amore spirituale, l’umano e il sacro. La scrittura vocale si basa su poche altezze con molte ripetizioni, a indicare l’appartenenza alla terra, ma questa sorta di hochetus viene spezzato da note acutissime che indicano un’aspirazione, non sempre raggiunta, al cielo, alla spiritualità, oppure da brevi frasi parlate, articolazioni vocali corporali. Quest’ultime si integrano con le registrazioni fatte in momenti di vita quotidiana dei due cantanti (Alessandra Vavasori e Antonio Bortolami), così che ognuno degli interpreti si manifesti attraverso la spiritualità (il canto) e la corporeità (il parlato). La parte elettronica realizza idealmente il concetto di unione avvalendosi della tecnica di convoluzione sottolineando la fisicità della voce, registrata molto da vicino, e la sua evanescenza negli spazi riverberanti di una chiesa: le relazioni di frequenza fra le parziali di una voce (o un coro) maschile sono modellate dall’inviluppo spettrale di un coro (o una voce) femminile. Tutti i materiali vocali utilizzati provengono da interpretazioni dell’Ensemble Oktoechos di opere del passato su testi del Cantico. Dai cinque pezzi composti (d’yn, n’yn, b’yt, spyrty I e spyrty II, d’yl) ho estratto i seguenti tre acusmatici: d’yn e n’yn sono convoluzioni fra esecuzioni maschili e femminili delle antifone “Jam hiems” e “Veni electa mea”; spyrty I basato su “Tota pulchra es, anima mea” di Heinrich Isaac, alterna lunghe risonanze a vivaci sequenze di grani vocali.
(2001) versione elettroacustica [11’34”] [CD Stradivarius STR 33634]
Prima esecuzione assoluta: Festival “Il Giardino della Musica”, Palazzina Liberty, Milano, 13 giugno 2001
Realizzata con una borsa della Rockefeller Foundation
Dall’amicizia e dall’ammirazione per il virtuosismo della chitarrista Elena Casoli nascono i 5 frammenti che compongono l’opera: sono stati scritti per svolgere ciascuno funzione di interludio, quasi in senso teatrale, durante i suoi concerti. L’intenzione era quella di creare qualcosa che fosse allo stesso tempo una continua allusione a strumenti e stili chitarristici diversi per epoca e linguaggio, ma sufficientemente astratto per adattarsi a qualsiasi pezzo di altro autore suonato dal vivo senza influenzarne l’ascolto.
Sull’idea di incrocio, di accoppiamento fra strumenti e stili, ho registrato musiche tratte dai repertori ottocentesco, flamenco, blues, sudamericano, rock, jazz, barocco, suonate da Elena Casoli sia sugli strumenti per cui erano state scritte, sia su strumenti e con modalità completamente estranianti. Così, per esempio, l’interpretazione di Eric Clapton per Crossroads è stata suonata su un arciliuto, mentre un Minuetto di Paganini sulla chitarra elettrica con distorsore, oppure una siguiriya eseguita a “tambora” su una chitarra americana a corde di metallo e uno studio di Sor con il wah-wah.
Sull’idea di incrocio fra segnale di eccitazione e caratteristiche di risonanza dei diversi strumenti ho poi lavorato nella prima fase di trasformazione dei suoni. Così l’eccitazione di una chitarra elettrica che suona Nuages di Django Reinhardt viene fatta “accoppiare” con la cassa armonica di un arciliuto che risuona di un Choro di Barrios. Attraverso varie tecniche di filtraggio e di analisi-sintesi ho infine conferito diversi gradi di astrazione per cambiare i segni caratteristici, e quindi riconoscitivi, dei materiali di partenza.
Dal punto di vista formale la successione dei cinque frammenti vede crescere sia la durata (30”, 1’, 2’, 3’, 5’) che il numero di voci, corrispondenti ad altrettanti stili/strumenti (7, 6, 9, 18, 28) e organizzate secondo il seguente disegno:
L’opera è stata realizzata durante una residenza offerta dalla Fondazione Rockefeller e con le apparecchiature dello studio di musica elettronica della sua sede in Bellagio, in particolare con i programmi Marcohack, Soundhack e Csound.