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bastone armonico

(1999) versione elettroacustica [11’55”]

Prima esecuzione assoluta: Auditorium Università di Cordoba (AR), 29 aprile 2006

Realizzata con una borsa della Bogliasco Foundation presso il Centro Ligure per le Arti e le Lettere

L’idea del lavoro (nella sua versione originale per violino, bastoni da pioggia, elettronica e sistema interattivo ad libitum), nasce dall’ammirazione di certa pittura monocromatica statunitense: strati successivi di pittura (diversi i materiali, le tecniche) danno origine a una superficie che fa scomparire la materia e può venire percepita come scultura, oppure come composta di tonalità cangianti in funzione dell’incidenza della luce sul colore.

Mi colpiscono le piccole deflagrazioni percettive determinate da una forte astrazione.

Come spesso avviene per la realizzazione delle mie opere, anche per bastone armonico ho scelto materiali sonori che racchiudessero sia elementi concreti, “terrestri”, che elementi astratti, “celesti”. Ho cercato di realizzare un’idea di superficie monocromatica trattando i suoni impulsivi di un palo de lluvia (bastone da pioggia), strumento tipico della cultura india di tutto il Sud America. Questa monocromia granulare costituisce la versione elettroacustica che qui si presenta. Un’unica traccia resta del violino suonato da Marco Rogliano: da 4’38” e per circa per un minuto si può ascoltare, anche se molto trasformato, isolato dagli altri suoni.

Grazie a Xavier Serra per il suo SMS e a Davide Rocchesso per il suo BaBo, programmi che, insieme a Csound, ho utilizzato per le trasformazioni del bastone da pioggia. Formalmente l’opera segue 12 di 63 disegni generati dal computer di cui mi ha fatto dono l’amico Gianni Revello; una parte di essi è stata elaborata dal programma GraphSco di Riccardo Bianchini per l’estrazione di parametri musicali.

Sono infine debitore nei confronti di Franco Avicolli, poeta di terre astratte a cui debbo la scoperta dei diluvianti suoni e durevoli amicizie in terra argentina. A lui desidero dedicare bastone armonico. L’opera è stata realizzata durante una residenza offertami dalla Fondazione Bogliasco (Centro Ligure per le Arti e le Lettere).

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A Moholy, l’ultimo giorno del tram a tariffa ridotta

(1998) musica elettroacustica per un film muto di Laszlo Moholy-Nagy [5’19”]

Prima esecuzione assoluta: Accademia Musicale Pescarese, Pescara, 1998

«La realtà del nostro secolo è la tecnologia… le macchine hanno preso il posto dello spiritualismo trascendentale del passato. Tutti sono uguali di fronte alla macchina… In tecnologia non esiste tradizione né coscienza di classe: tutti possono essere padroni, ma anche schiavi.»

Moholy-Nagy, 1922

Metà scultura, metà macchina, il “Lichtrequisit” (la scultura che viene ripresa nel film) è fatto di metallo cromato, vetro, filo e barre metalliche. Moholy-Nagy si sforzò sempre di interpretare lo spazio nel suo rapporto con il tempo. Così i movimenti cui sottopone la scultura, in prevalenza lenti e rotatori, siano essi reali o virtuali, sono sempre realizzati con la coscienza che lo schermo cinematografico è piatto, bidimensionale come una pittura, una fotografia. Per creare movimenti virtuali spesso usa tecniche di “elaborazione” dell’immagine: immagini in negativo, sovrapposizione di più riprese, illuminazioni dalle forme diverse, talvolta abbaglianti, che proiettano le ombre di parti della scultura su un fondo bianco.

L’idea della musica che ho realizzato era di dare suono alla scultura. Ecco quindi perché:

  • i materiali sonori di partenza sono stati determinati dai materiali di cui è costituita la scultura: metallo (una lastra di ferro strisciata o percossa, un suono sintetico tagliente come una sega d’acciaio, un cestello di lavatrice), vetro (cocci strisciati);
  • il tipo di trattamento deriva dalla tecnica luministica di Moholy-Nagy: filtraggio usando spesso parametri ricavati dagli spettri di fotogrammi del film;
  • la forma dell’opera rispecchia l’avvicendarsi dei diversi eventi del film;
  • ho cercato di rendere le tre dimensioni dello spazio acustico bidimensionali, di dare cioé la sensazione di movimento rotatorio più con il materiale sonoro che con il movimento vero e proprio, talvolta aiutandomi con la distribuzione spaziale, ma sempre con la sola stereofonia.

La totalità della sua sperimentazione aveva portato nel 1931 Moholy-Nagy a progettare di sincronizzare i movimenti del “Lichtrequisit” con uno spartito musicale. Secondo quali principi lo possiamo immaginare ricordando cosa disse a un amico tracciandone i contorni del volto su un blocco di appunti: «Posso suonare il tuo profilo. Sono curioso di sapere come suonerà il tuo naso.» Uno dei suoi esperimenti filmici fu infatti l’incisione su colonna sonora di lettere dell’alfabeto. Per questa ragione le parole schwarz, weiss, grau che compaiono all’inizio del film, come in una sorta di manifesto programmatico, sono accompagnate da rumore bianco filtrato con frequenze centrali e larghezze di banda che seguono i contorni delle lettere che le compongono.

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COMBINA C1917

Omaggio a Pietro Grossi (1997) musica elettroacustica [5’]

Prima esecuzione assoluta: Festa per gli 80 anni di Pietro Grossi, Sala Vanni, Firenze, 11 dicembre 1997

Commissione: Fondazione Ezio Franceschini, Firenze

1917: Pietro Grossi nasce a Venezia.

1972: la RAI manda in onda “C’è musica e musica”, una serie di trasmissioni curate da Luciano Berio. In una di queste compare Pietro Grossi intervistato alla Biennale di Venezia sulle sue esperienze di “musica al calcolatore”.

1977: inizio a seguire il corso di Pietro Grossi presso l’Istituto di Elaborazione dell’Informazione del CNUCE-CNR di Pisa. L’insegnamento più prezioso che ricevo da Pietro Grossi riguarda il fatto che la formalizzazione di un processo compositivo estende e non limita, come si pensa, le possibilità creative di un autore. Non posso dimenticare la forte emozione che provo il giorno in cui scrivo e vedo funzionare il mio primo e primitivo programma in FORTRAN per invertire la lettura di un vettore di frequenze.

1997: ricostruisco alcuni dei comandi che facevano parte del software TAUMUS per trasformare quei 100” di trasmissione televisiva. Le voci di Pietro Grossi e Virgilio Boccardi, l’intervistatore, i semplici timbri del TAU2, sono stati sottoposti a una granulazione realizzata servendomi di un programma per generare combinazioni semplici (19 elementi, 17 sottoelementi). I 3 materiali originali vengono elaborati ciascuno 4 volte con parametri diversi (durata dei grani, istante di inizio della lettura dei file, …) in modo da ottenere 12 voci. Seguendo la successione temporale degli interventi del filmato (dilatata 3 volte) costruisco la forma dell’opera. Gli eventi che la compongono sono letture e filtraggi con parametri aleatori (7 classi timbriche differenti) delle 12 granulazioni. La voce del curatore, che nel filmato per 3 volte si sovrappone ai suoni del TAU2, viene utilizzata per modulare l’ampiezza e come segnale di controllo per il filtraggio della “voce” del vecchio terminale audio.

Grazie a Davide Rocchesso per l’algoritmo combinatorio e per BaBo.

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IV Felix Regula

(1997) per nastro a 8 tracce [CD Cybele – DEGEM 7] [13’33”]

Prima esecuzione assoluta: Università di Liegi, luglio 1997

Regia del suono: Roberto Doati

Commissione: Centre de Recherches et de Formation Musicales de Wallonie di Liegi

Felix Regula è un lavoro commissionato e realizzato presso il Centre de Recherches et Formation Musicales de Wallonie in Liegi. Quando ho ricevuto l’invito a realizzare un nuovo lavoro per strumenti ed elettronica, è stato naturale per me che vivo a Padova pensare a Johannes Ciconia (1340-1411); non solo perché il grande compositore e teorico proveniente da Liegi visse i suoi ultimi anni proprio a Padova, ma anche per il profondo legame fra musica e scienza che caratterizzò il suo lavoro e la sua vita. Il pensiero musicale che ho sviluppato nel corso di molti anni di utilizzo dell’informatica è fortemente improntato dalla nuova tecnologia. Per tecnologia intendo qui riferirmi non tanto allo strumento “macchina”, quanto a un insieme di nuovi concetti e procedimenti scientifici per investigare e trasformare la natura.

La “natura” che viene trasformata in Felix Regula è un virelai di Ciconia (Sus une fontayne) che rappresenta per me un archetipo dell’interesse che molti compositori, del passato come del presente, hanno per i giochi di specchi. Nelle cinque differenti versioni che ho realizzato (I: clarinetto e nastro, II:flauto e nastro, III: violino e nastro, IV: nastro solo, V: violino, flauto, clarinetto, nastro e live electronics), ho spezzato e ricostruito la forma del virelai di Ciconia con riflessioni non solo fra gli strumenti, ma anche con il mio specchio preferito: la tecnologia informatica.

Le trasformazioni elettroniche dei suoni strumentali sono quindi concepite come una sorta di doppio di ciascuno strumento, ma distribuite temporalmente in modo differente per ogni versione secondo un esprit de géométrie peculiare del lavoro di Ciconia. Anche gli strumenti producono una sorta di trattamento acustico. Le altezze del virelai vengono infatti emesse con modalità e articolazioni tipiche della musica contemporanea (slap, multifonici, tongue ram, ecc.).

IV Felix Regula è la versione a 8 piste che contiene: pista 1 (registrazione violino), pista 2 (registrazione flauto), pista 3 (registrazione clarinetto), piste 4-5 (trattamento elettronico violino), piste 6-7 (trattamento elettronico flauto), pista 8 (trattamento elettronico clarinetto). L’esecuzione del pezzo è completamente libera per quanto riguarda la dinamica delle differenti piste.

La relazione temporale fra strumenti e loro trattamento elettronico può essere rappresentata come segue:

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Inventario delle eclissi

(1996) per voce recitante elaborata su testo di Eugenio Montale [8’44”]

Prima esecuzione assoluta: Teatro Civico di Savona, dicembre 1996

Commissione: Comune di Savona per il centenario della nascita di Eugenio Montale

Quello che mi ha sempre colpito in Montale è la sua capacità di sciogliere i giudizi cristallizzati nelle parole. Usa parole semplici e concrete che riesce a rivestire di un carattere fortemente astratto: il sogno di gran parte della mia musica.

Inventario delle eclissi è un lavoro sulla motivazione delle parole (la motivazione rappresenta la preistoria del senso, ma non è perduta, si è solo eclissata). Inoltre sono convinto che le trasformazioni cui è sottoposto un suono aiutino a comprenderlo, lo spieghino. Per questa ragione ho scelto di lavorare sulle singole parole. Ogni manipolazione del suono-parola dipende esclusivamente dalla sua collocazione in due diversi spazi formali: uno puramente sonologico che divide e ordina i suoni lungo le dimensioni della brillantezza e della velocità di attacco, l’altro semantico (con dimensioni: classificazione motivica, polisemia, similarità fonetica, similarità e contiguità di senso).

L’opera è divisa in tre parti, così come la poesia di Montale se scomposta in base all’identificazione dell’Io-narrante. Per ogni parte si sono utilizzati diversi programmi di generazione automatica di strutture, in un percorso tempo-densità che va dalla comprensione chiara del testo alla frammentazione. A un più alto livello di astrazione, infine, si accosta un collage di parole nella loro forma sonora originale.

Gianni Revello, congeniale allo spirito di sospensione, di rivolta, di abbandono e di volontaria esclusione del Poeta, per amicizia mi ha regalato la sua voce. A lui offro questo inventario per la sua collezione del Tempo.

L’oboe

Talvolta il Demiurgo, spalla di Dio e Vicerè quaggiù,
rimugina su quali macchinazioni
gli attribuiscano i suoi nemici,
i fedeli al suo Dio perché quaggiù
non giungono gazzette e non si sa
che siano occhi e orecchie. Io sono al massimo
l’oboe che dà il la agli altri strumenti
ma quel che accade dopo può essere l’inferno.
Un giorno forse potrò vedere anch’io,
oggi possente e cieco, il mio padrone
e nemico ma penso che prima si dovrà inventare
una cosa da nulla, il Tempo, in cui
i miei supposti sudditi si credano sommersi.

Ma, riflette il Demiurgo, chissà fino a quando
darò la mano (o un filo) al mio tiranno? Lui stesso
non ha deciso ancora e l’oboe stonicchia.

Eugenio Montale

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Forma di nebbia

(1995) versione elettroacustica [18’30”]

Prima esecuzione assoluta: XIII CIM, Forte spagnolo, L’Aquila, 2 settembre 2000

La forma è quella, geometrica e forte, derivata dal metro della poesia utilizzata.

Questa struttura viene proposta 15 volte (una per ogni strofa), ogni volta sovrapponendosi alla precedente dilatata nel tempo. Così la prima struttura parte all’inizio del pezzo e dura fino alla fine, la seconda comincia dopo 70” e dura anch’essa fino alla fine, e così via ogni 70”.

La nebbia è quella che provoca interruzioni nello svolgersi della narrazione poetica. Impedisce di ri-conoscere chiaramente la forma cui danno vita i 15 stili vocali (uno per ogni strofa, in ordine cronologico, dalla salmodia ebraica ai Gabrieli) usati per la composizione. La maggior parte dei modelli storici utilizzati riguarda la vocalità sacra occidentale, con numerosi riferimenti a quella veneziana. Non a caso, poiché il festival della Biennale di Venezia che ha commissionato il lavoro si svolgeva all’interno del Nono Centenario della Dedicazione della Basilica di San Marco e portava il titolo “L’ora di là dal tempo. Momenti di spiritualità nella musica contemporanea”.

Ma vi sono altre allusioni a musiche, vocali e non, la cui scelta è stata determinata talvolta dal carattere e significato della poesia (ad esempio, il canto Gregoriano è rappresentato dalla sequenza “Victimae Paschali Laudes” perché la vicenda narrata da von Droste-Hülshoff si svolge durante la notte di Pasqua), talvolta da richiami a persone amiche (ad esempio, l’uso di una ballata di Ciconia, autore del ‘300 nato a Liegi e morto a Padova, allude al legame con Marianne Pousseur).

La funzione svolta dal computer è fondamentalmente quella di moltiplicare la voce di Marianne Pousseur idealmente per quante volte la protagonista della poesia incrocia la propria immagine, fino a rendere quasi un incubo per la cantante, il continuo emergere della propria voce con particolari enormemente amplificati.

Tra le maglie di questa polifonia vocale si insinua il trattamento di suoni e rumori legati ai diversi modelli storici: arpa, vihuela, percussioni, liuto, organo, archi, ottoni, rumore e voci di mercato, artigiani, …

Questa versione elettroacustica viene preferibilmente eseguita dal nastro originale a 8 tracce e prevede un discreto ambito di possibilità intepretative nella miscelazione dei tanti e complessi  materiali che la compongono.

Forma di nebbia è la terza parte del trittico per voce femminile ed elettronica  “L’olio con cui si condiscono le parole” (commissione La Biennale di Venezia 1995, per un’opera di teatro da camera, mai eseguita in forma scenica). È dedicata a Mario Messinis, con tutta la mia riconoscenza per aver dato la possibilità a quel poco di olio che c’è nel mio lavoro, di venire a galla.

Quando le forme non si distinguono ancora o quando le forme vecchie, che stanno scomparendo, non sono ancora sostituite da quelle nuove e nitide.

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70 viti da legno

(1990-91) per suoni concreti e sintetici [CD Twilight 07 02] [4’58”]

Prima esecuzione assoluta: IX CIM, Auditorium Montale del Teatro “Carlo Felice”, Genova, 14 novembre 1991

Attraverso  un  percorso casuale (il gioco)  ricevo  come vincita  da un amico cageano 70 viti da legno, che  rappresentano la sua visione del compositore di musica sintetica.

 Come le viti inserite fra le corde del pianoforte  preparato di Cage, in quest’opera 70 difoni della lingua italiana sono stati gridati sulle corde di un pianoforte, dando vita a risonanze che, grazie alla modalità di produzione, presentano un  carattere vocale.

Questo materiale, naturale o trasformato da filtri,  trasposizioni e missaggi complessi, è affiancato da suoni  sintetici scelti in uno spazio timbrico i cui estremi sono rumore  colorato e spettri quasi armonici.

La  forma ricalca 4’33” di John Cage. Essa è infatti  costituita  da tre parti della stessa durata di quelle  del  famoso pezzo di “silenzio”. La prima è un unico grande crescendo di  materiali omogenei. La seconda è un movimento centripeto: l’articolazione interna degli ultimi suoni evoca quella formale  dell’intera parte (da una grande densità di materiali non omogenei a una rarefazione desolata). Nella terza parte suoni concreti (risonanze di pianoforte, difoni) e suoni sintetici si fondono e si  trasformano fino a divenire creature timbricamente ambigue.

All’interno di ogni sezione il materiale è stato ordinato utilizzando  programmi, appositamente realizzati, di  generazione pseudo-casuale  degli eventi sonori. Ciascun programma è progettato per produrre organizzazioni formali specifiche: sequenze  o cluster di suoni molto brevi, fasce che possono essere anticipate e/o seguite, come una sorta pre-eco o di eco, da suoni che di esse fanno parte, strutture di suoni collegati fra loro da glissandi,  sequenze molto rarefatte di suoni lunghi. Nella  generazione delle  diverse strutture i programmi consentono un certo  margine di  “scelta”, principalmente in ordine a densità e  durata  media dei singoli suoni.

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Una Storia chimica

(1987-89) per suoni sintetici e concreti [15’]

Prima esecuzione assoluta: “Avevamo nove oscillatori…”, Civica Scuola di Musica di Milano, 18 novembre 1989

Questa opera è una storia perché è vissuta da individui che scelgono (o non scelgono) forme di organizzazione diverse. Alcuni, raggiunta una situazione stabile, tendono a perdere la propria identità (o meglio non tentano di formarne una originale) per unirsi in strutture ordinate, simmetriche, regolari. Pur avendo un’origine comune, altri scelgono di arricchire la propria personalità, anche attraverso il confronto con gli altri, ma mai con l’intento di mescolarsi a essi. Infine alcuni non cercano nè un’organizzazione interna nè una esterna, e si aggirano “inquie­ti” in un continuo legarsi e sciogliersi. È una Storia perché contiene concreti frammenti di storia.

È chimica perché è facile stabilire una corrispondenza fra la scienza che studia la formazione, la composizione, la struttura delle sostanze naturali e artificiali e la musica che forma i propri suoni a partire dall’ “atomo” sonoro. Dall’insieme degli elementi primari hanno origine molecole e composti stabili e instabili, attraverso legami forti e legami deboli. Talvolta i composti incontrano sostanze in grado di scioglierne i legami proiettando i singoli elementi in direzioni imprevedibili.

È Una Storia chimica perché a partire da un unico insieme di frequenze si formano suoni armonici, che privilegiano l’organizzazione temporale unendosi fra loro in strutture ritmi­che; suoni inarmonici, che attraverso una continua trasformazione della propria organizzazione interna si configurano come timbri molto dinamici; glissandi, che muovendosi nello spazio frequen­ziale mutano continuamente spettro, armonico o inarmonico, senza mai raggiungere uno stato di quiete.

È  un omaggio all’altra rivoluzione francese: quella chimica di Lavoisier.

L’opera è stata realizzata presso il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova.

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Deve essere tenuto lontano da fonti di luce

(1985-86) per suoni sintetici e concreti [9’ 12”]

Prima esecuzione assoluta: Teatro Comunale di Bologna, 1987

La composizione fa uso di un lessico costituito da pochi elementi semplici  subordinati a leggi compositive che non si riducono ad associazioni cumulative, ma conferiscono proprietà d’insieme distinte da quelle degli elementi.

Un primo gruppo di regole è dato dall’ordinamento in scala dei parametri a basso livello che determinano la costruzione dei singoli suoni: numero di parziali, ritardi di entrata, durate fisiche relative, inviluppi d’ampiezza, inviluppi spettrali, tempi d’attacco, deviazioni di frequenza e di ampiezza, ecc.

A livello superiore è collocato uno spazio timbrico a due dimensioni che controlla l’armonicità degli spettri: espansione-compressione, traslazione. Esse determinano uno dei fattori indagati da Steve McAdams nel suo studio sulla formazione di immagini uditive.

Le regole formali, infine, sono dapprima utilizzate per l’organizzazione dei singoli elementi in strutture ritmiche, e in seguito per l’organizzazione di tali strutture nello spazio compositivo.

Carattere fondamentale di una struttura in quanto organizzazione di elementi significanti è l’autoregolazione (la struttura controlla e regola se stessa, diviene fenomeno naturale). Ora il ritmo assicura la propria autoregolazione con i mezzi più semplici quali simmetrie e ripetizioni. Da ciò deriva l’uso di strutture ritmiche semplici e regolari con un profondo carattere di ripetizione. Il reticolo timbrico sopra descritto sottolinea, e più spesso altera questa autoregolazione ponendo in conflitto organizzazione ritmica e organizzazione timbrica.

Suoni concreti isolati rappresentano la relazione fra il mondo sintetico e quello reale.

Desidero ringraziare Graziano Tisato del Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova presso cui l’opera è stata realizzata.

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La materia è sorda

Con Toni Patella e Daniele Torresan, (1983-84) per suoni sintetici e voce elaborata [14’20”]

Prima esecuzione assoluta: Audiobox, Università di Arcavacata di Rende, 6 giugno 1984

Commissione: RAI-Audiobox

Il lavoro nasce dall’analisi dei parametri formali (durata, altezza e accento dei fonemi), della prosodia di tre canzoni del XIII secolo scritte da Dante Alighieri, Guido Cavalcanti, Guido Guinizelli sullo stesso argomento: l’incedere della donna amata fra gli uomini. La corrispondenza, già rilevata da più parti, fra tali parametri e le principali caratteristiche del linguaggio musicale, ha consentito l’estrapolazione dei modelli formali della composizione. Per ottenere i dati formali e quelli relativi ai fonemi delle tre canzoni, ci si è valsi del modello di sintesi del parlato con predizione lineare implementato sul sistema interattivo ICMS realizzato da Graziano Tisato.

Tali dati, opportunamente convertiti mediante programmi di interfacciamento in linguaggio Pascal e Fortran, sono stati utilizzati per la sintesi e l’elaborazione dei segnali dai programmi Music 5, Music 360 e ICMS. L’opera è stata commissionata dalla RAI ed è stata realizzata con le risorse del Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova. La voce utilizzata è quella di Lorenzo Rizzato.